Nelle ultime settimane si sono diffuse notizie allarmistiche sulla stampa di tutto il mondo in relazione alla possibilità che “il 5G contribuisca alla diffusione del COVID-19”. Una delle motivazioni a supporto di questa affermazione è che il 5G possa creare danni al sistema immunitario, rendendo la popolazione più sensibile all’infezione.

È bene chiarire subito che non ci sono evidenze scientifiche che indichino una tale correlazione.

Per fare chiarezza è necessario, innanzi tutto, sottolineare che la nuova tecnologia 5G impiega, come le precedenti reti di telefonia mobile (ad esempio 3G e 4G) e di comunicazione wireless (ad esempio il WiFi), campi elettromagnetici non ionizzanti nella banda delle radiofrequenze. I danni accertati alla salute, dovuti all’esposizione a campi in questa banda di frequenza, sono ben noti e sono legati all’innalzamento della temperatura, che si verifica esclusivamente per esposizioni a campi di alta intensità.

Proprio per proteggere la salute delle persone da questi danni termici, sono state da decenni definite (e continuamente aggiornate) da comitati scientifici internazionali, linee guida che stabiliscono i limiti di esposizione per la popolazione. La Commissione Europea, sulla base di queste linee guida, ha emanato già nel 1998 una raccomandazione agli stati membri1 che suggerisce i livelli massimi di campi elettromagnetici da 0 Hz a 300 GHz a cui la popolazione può essere esposta. Sebbene tali livelli siano già ben al di sotto di quelli effettivi ai quali possono verificarsi danni alla salute, l’Italia, a maggior tutela per la popolazione, si è dotata di un quadro normativo ispirato al principio di precauzione2, che prevede limiti massimi di esposizione significativamente più bassi al fine di prevenire gli effetti a breve termine e i possibili effetti a lungo termine. Le frequenze operative della rete 5G sono pienamente incluse nella banda presa in considerazione dalla normativa italiana....